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Cartesio

Cartesio


René Descartes (La Haye, Turenna, 1596 – Stoccolma 1650).


Cartesio nacque il 31 marzo del 1596 a La Haye en Touraine, da una famiglia di ricchi borghesi, venne educato dai gesuiti nel collegio di La Flèche (1604-1612).
Dopo aver intrapreso la carriera militare, e aver viaggiato, in Ungheria, in Germania, in Polonia, in Olanda, in Svizzera e in Italia, nel 1629 si stabilì in Olanda dove rimase vent’anni, soprattutto allo scopo di sottrarsi all’ostilità della Chiesa.
La regina Cristina di Svezia, piena di ammirazione per lui, lo invitò a Stoccolma nel 1649 perché le insegnasse la filosofia; qui Cartesio morì l’11 febbraio 1650.
Opere principali: Regulae ad directionem ingenii* (scritte nel 1628 ma pubblicate nel 1701); Trattato del mondo (1633), che però non pubblicò per intero per timore di un conflitto con le autorità religiose e che nel 1637 ridusse a tre saggi: La diottrica, Le meteore e La geometria, preceduti da una prefazione che fu il celebre Discorso sul metodo*; Meditazioni metafisiche* (1641), Principia philosophiae* (1644), Le passioni dell’anima* (1649); inoltre una vasta Corrispondenza con filosofi e principi del tempo.
Cartesio è stato giustamente chiamato «il padre della filosofia moderna» perché dal suo pensiero prendono le mosse tutti i maggiori pensatori dei seicento e del settecento; studioso di matematica e di geometria prima ancora che filosofo, vide nel metodo matematico la via più rigorosa per giungere a verità indiscutibili e pertanto auspicò l’estensione del metodo matematico alla filosofia, secondo i criteri della «chiarezza e della distinzione».
Ma, mentre il contemporaneo Galileo aveva senz’altro accettato il metodo matematico per lo studio della natura senza indagarne la fondatezza, Cartesio si propose di esaminare da filosofo la validità dell’esigenza geometrica e matematica, movendo dal presupposto che anche la più evidente delle affermazioni aritmetiche potrebbe essere un’illusione, un inganno giocato da un genio maligno, che ci fa apparire come vero e reale ciò che può avere soltanto la illusorietà di un sogno.
È questo il «dubbio metodico» esteso a tutti i dati della conoscenza, ma esso non è fine a sé stesso, come per gli scettici, poiché deve servire a superare le incertezze e le perplessità per approdare al possesso di una salda verità, inattaccabile da ogni scetticismo.
Cartesio ritiene di poter trovare una sola realtà capace di sottrarsi al dubbio; questa realtà è il pensiero, perché il fatto che il soggetto dubiti, e quindi pensi, garantisce chiaramente l’esistenza del soggetto stesso.
«Cogito, ergo sum», «Penso, quindi sono» è la prima salda certezza che il dubbio non può scalfire, proprio perché il dubitare è pensare.
Ma la certezza di «me pensante», di me come «res cogitans», afferma Cartesio, non mi può dare immediatamente la certezza che i contenuti del mio pensiero, cioè il mondo, i rapporti logici, ecc.; siano altrettanto validi.
L’«io» è inizialmente come chiuso in sé stesso, ricco solo della certezza di sé; ma per Cartesio l’io deve diventare il principio di ricerca della validità di tutto ciò che lo circonda; egli perciò esamina e studia i contenuti del pensiero, cioè le idee, che divide in tre classi: idee innate, cioè spontaneamente presenti al pensiero, idee avventizie, cioè formatesi attraverso l’esperienza, e infine le idee fittizie, cioè arbitrariamente composte dal soggetto.
In base al principio del dubbio metodico, il soggetto non può sapere se realmente esistano fuori di sé le cose rappresentate dalle idee, se cioè all’idea di stelle, cavallo, ecc. corrisponda veramente una qualche realtà oggettiva.
Ma se questo vale per tutte le idee, non vale per l’idea innata che si ha di Dio, perché è l’idea della perfezione totale, della onnipotenza e dell’onniscienza e pertanto il soggetto non può averla creata da sé.
Fuori di sé stessi, al di sopra di sé, deve quindi esistere Dio, come realtà certissima e anch’essa inattaccabile dal dubbio.
Cartesio offre altre prove dell’esistenza di Dio, tutte basate sull’idea che il soggetto ne possiede; ma in lui questa ricerca del divino non nasce da una esigenza teologica come poteva accadere per gli scolastici medievali, quanto piuttosto dalla necessità di reperire una garanzia dell’esistenza e della concreta realtà oggettiva del mondo; Dio, infatti, in quanto essere perfetto, buono e verace non può ingannare il pensante e la sua esistenza garantisce che tutto ciò che appare come chiaro ed evidente esiste realmente.
In questo senso possiamo veramente applicare a tutti i campi del sapere il metodo geometrico-matematico.
Il mondo esterno è per Cartesio riducibile all’estensione corporea, la res extensa, che coincide rigorosamente con lo spazio e che quindi esclude in modo assoluto l’ipotesi del vuoto.
Pertanto la filosofia cartesiana sfocia in un dualismo tra pensiero (res cogitans) e materia (res extensa) che crea una serie di gravi difficoltà, perché l’estensione corporea, che è meccanicismo e passività, non può agire sul pensiero, che è inesteso, e viceversa. Cartesio volle dare una soluzione tutta verbale al problema dicendo che lo spirito, cioè il pensiero, agisce sul corpo attraverso la «ghiandola pineale»; ma in realtà il problema rimase aperto e diede luogo a una serie di approfondimenti da parte dei filosofi posteriori come Malebranche, Spinoza e Leibniz.
La fisica cartesiana ritiene che tutto l’universo sia un gigantesco meccanismo, una volta per tutte messo in moto da Dio; questa tesi, anche se più tardi superata, ebbe il merito di unificare sotto una unica prospettiva tutti i fenomeni del cosmo.
Cartesio non trattò la morale in un’opera a parte; ma al problema etico accenna nel Discorso sul metodo, nelle Passioni dell’anima e in molte lettere nelle quali afferma la necessità di adottare una «morale provvisoria», in attesa di avere un sistema totale di verità che permetta l’adozione di una morale definitiva.
Questa morale è venata di stoicismo ed è animata da una esigenza razionalistica, in quanto il filosofo tende a identificare la virtù con l’accettazione della ragione.
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Samuele Simone
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